12 settembre 2012

Questo è il terzo finalista del "Campiello 2012" che leggo, dopo  "Il tempo di mezzo" di Fois (già postato qui sotto) e "Tutti i colori del mondo" di Montanaro.
Un libro che, per quanto possa sembrare strano, mi ha fatto rivivere la mia adolescenza. Un libro che parla di memoria, di ricordi e di cronaca, ma non di quella lontana, non della guerra e dei partigiani, ma una storia più recente e che ha lasciato ugualmente dietro di sè morti e tragedie.
Me li ricordo quegli anni, fine anni settanta. La cronaca di quei tempi parlava di terrorismo, stragi di civili e di scorte, molotov e gambizzazioni di uomini politici e statisti. La cronaca di quei tempi parlava di una paura strisciante di Rivoluzione, di Golpe, di Colpo di Stato. Li chiamavano "anni di piombo" ed il sapore ci stava tutto.
Io quegli anni me li ricordo, gli scioperi davanti al Liceo G. Marconi, le grida, le invettive e l'autostop per tornare a casa di corsa, la paura era reale. Me lo ricordo quel giorno in cui il noto statista fu ritrovato giustiziato nel bagagliaio dell'auto. Quel pomeriggio non si muoveva macchina, molti erano chiusi in casa, il Golpe era vicino, dicevano in molti. Questo romanzo parla di quegli anni e mette in fila tre situazioni diverse, anche se costrette a convivere sotto il medesimo tetto.
Un famoso terrorista, che in nome di una Rivoluzione, assente nei fatti, aveva giustiziato per il proletariato eversivo  una quantità imprecisata di nemici dello stato, un pluriomicida, spinto da futili motivi ad una violenza cieca contro amici e conoscenti ed il secondino, responsabile della sicurezza all'interno del carcere di massima sicurezza su una famosa isola Sarda, carcere che li contiene tutti e tre. Che li fa convivere uno a fianco all'altro. "Camosci" e "girachiavi", tutti insieme fra il lieto vivere e qualche "disgusto".
Ma parla soprattutto delle loro famiglie, inconsapevoli ed innocenti, ma costrette a subire una condanna a cui forse nessuno pensa, a cui forse nessuno ha mai dato voce. Che colpa ne hanno loro se la situazione è scivolata così in fretta dalle loro mani. Eppure pagano la loro condanna. Una condanna che nessun giudice gli ha mai inflitto ma che le loro coscienze, invece, li tortureranno fino alla fine.
Una condanna dura, senza processo e senza appello, di quelle che ti segnano per la vita e che te la fanno condurre fra l'incudine ed il martello. 
Fra l'amore verso il familiare incarcerato ed il dolore inflitto ai familiari delle sue vittime.
Parla anche della semplicità di queste persone condannate in modo artificioso e come queste possono riuscire ad esere solidali fra loro, al punto che uno può accollarsi il dolore dell'altro.
Un finale non a sorpresa, ma comunque bello, emozionante e duro fino alla fine.
Un'altra sorpresa dal Campiello.
Buona lettura
Luca
Castelfiorentino dodici settembre duemiladodici

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