La spiaggia dei cuori malandati
La mezza luna ingobbita
a levante lanciava lame di luna argentata fra i passaggi di nuvole che con
dignitosa fretta si rincorrevano sopra i pennoni delle barche che lente
dondolavano nel porto.
La canoa gialla
racchiudeva per due terzi il conducente curioso che spinto da antiche leggende
pagaiava nel silenzio della notte.
La fase lunare calante,
una leggera nuvolosità e un mezzo di locomozione assolutamente naturale erano
le uniche prerogative possibili per avere la speranza di riuscire a trovare la “spiaggia
dei cuori malandati”.
La leggenda, tramandata
impassibile nei secoli dove guerre, invenzioni, letterati e conquistatori
avevano fatto da padroni, parlava di una spiaggia piccola e nascosta agli occhi
di insignificanti mortali e comuni passeggeri di vita e di mondo, e abitata da
cuori feriti e malandati.
La luna in realtà era
l’unico vero nocchiero e i suoi raggi gli unici indicatori.
La predisposizione
d’animo, la canoa sospinta dalla sola propulsione umana l’unico mezzo per
arrivarci.
Era partito dalla
spiaggia di Salivoli a notte fonda svegliato da un sogno premonitore in cui un
vento tiepido e silenzioso lo spingeva ad alzarsi, a muoversi per concludere,
una volta per tutte, la sua ricerca e
soddisfare così una curiosità oramai proverbiale.
La canoa gialla solcava
il mare piatto quasi sapesse la direzione, come guidata da un timoniere
navigato che seguendo le stelle virava e strambava come la luna comandava.
Si accorse di essere
vicino alla meta quando nel silenzio di quella misteriosa navigazione sentì,
ovattati, una serie di piccoli rimbombi, di piccoli tonfi che le onde
riflettevano come echi dispettose. La cadenza era irregolare ma continua,
incessante e sembrò sempre più nitida man mano che la canoa si avvicinava alla meta.
La visione gli apparve
improvvisamente dietro una punta ventosa e ululante.
La spiaggia piena
all’inverosimile di puntini rossi palpitanti e invocanti sembrava come abitata
da sirene che, per metà umani e per l’altra metà pesci, nell’impossibilità di
avere una vita dignitosa, speravano in un miracolo umanitario, un qualcosa che
gli desse dignità di esistenza.
Si poteva trovare di
tutto, tutte le varietà di sconquasso cardiaco immaginabile.
Il cuore deluso senza
ritorno accanto a quello speranzoso, il cuore tradito accanto a quello cattivo
che vagava senza meta, il cuore in attesa di un cenno, il cuore sordo e poi ancora
il cuore cieco.
In un angolo vicino
alla roccia scoscesa un cuore in attesa di trapianto si teneva per mano a un
cuore sano, guarito, scalpitante, diretto verso una cassa toracica implorante
ossigeno.
Cuori visionari, cuori
derelitti e senza speranza, cuori solitari e cuori irregolari battevano con
ritmi fra loro diversi.
Cuori che si erano
negati si fronteggiavano a cuori che avevano dato tutto se stessi, tutto
l’amore di cui erano capaci.
Due file di boe
rigorosamente rosse delimitavano lo spazio dedicato ai battelli che
traghettavano cuori nuovi e malati in arrivo e caricavano cuori in partenza,
cuori guariti, restaurati richiesti nella vita reale per una vita nuova,
possibile, dignitosa, umana.
L’attività di trasporto
era veloce, frenetica. L’avvicinarsi del novilunio avrebbe reso impossibile
l’avvicinamento alla spiaggia e soprattutto ai cuori che come resi impazziti da
un dolore acuto e penetrante e da una oscurità impenetrabile non avrebbero
permesso nessun contatto. I lamenti e le crisi isteriche erano impossibili da
sostenere a orecchie umane così come le maledizioni e le invocazioni potevano
essere nefaste ad animi puri e innocenti.
Un cuore impavido,
eluso il controllo, si avvicinò al canoista e gli porse un biglietto, un
piccolo pezzo di carta. Si trattava di un messaggio scritto a mano, un
messaggio per l’umanità, da divulgare immediatamente senza mettere tempo in
mezzo. Un SOS da lanciare mediaticamente e ripetuto all’infinito, un mantra di
assoluta urgenza.
Non ci fu altra scelta per
il canoista che recarsi subito nella “valle dell’eco mediatica” e lanciare
all’infinito la frase, il motto suggerito.
Con un urlo a pieni
polmoni e scandendo parola per parola pronunciò quello che il cuore impavido
gli aveva comandato: IL CUORE NON SI DA, IL CUORE NON SI RICEVE, IL CUORE SI
CONQUISTA.
ho letto e riletto ma non si può commentare un racconto così dettagliato ... il motto racchiude tutti i commenti che una persona può fare dopo averlo letto...
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