3 marzo 2013

Effimera Felicità

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Effimera felicità

Il Treno è il secondo romanzo di Georges Simenon che leggo. In una parola: bellissimo. Descrive la Storia che irrompe nella vita di gente comune, senza chiedere loro il permesso.
Il protagonista è Marcel Féron, un artigiano, riparatore di radio, il cui laboratorio occupa il piano terra del medesimo stabile dove vive con la famiglia – una moglie al settimo mese e mezzo di gravidanza e una figlioletta di appena quattro anni.
È il mese di maggio del 1940, i nazisti sono alle porte, minacciano i confini della Francia. Féron, come molti suoi compaesani, è costretto ad abbandonare la sua casa per mettersi in salvo con tutta la famiglia.
Sovraccarico di bagagli si dirige alla stazione dove prenderà d’assalto uno dei pochi treni ancora disponibili dopo che un ordine di evacuazione ha incalzato molti dei suoi compaesani a partire senza una destinazione precisa, se non mettersi in salvo sciamando verso sud con destinazione La Rochelle.
Costretto a viaggiare su un carro bestiame in compagnia di altri profughi che, come lui, il destino ha fatto deragliare dalla quotidianità, viene separato dalla moglie e dalla figlioletta che viaggiavano in un altro convoglio.
Durante il tragitto, il treno sosta più volte come abbandonato in mezzo alla campagna, subisce un bombardamento areo tedesco, viene più volte smembrato: il convoglio dove viaggiavano la moglie e la figlioletta è stato staccato dal treno, durante la notte e diretto in tutt’altra destinazione.
Sempre di notte, nella promiscuità dello spazio angusto, in mezzo a compaesani divenuti profughi, ogni convenzione sociale viene abbandonata e si consumano bisogni fisiologici e rapporti carnali.
Quando Marcel incontra la bella sconosciuta, nel suo stesso convoglio, non ci sono che sguardi tra loro ed è come se la sua famiglia fosse stata risucchiata nell’oblio.
Un po’ alla volta, senza che si siano raccontati le reciproche storie, i due diventano inseparabili, finché, durante la prima notte che passano l’uno accanto all’altra sulla paglia ammucchiata per terra, confusi fra altri corpi sconosciuti, accade l’immaginabile per Marcel, un tipo timido, mediocre e pudico. Da perfetti sconosciuti fino a poche ore prima, che ignoravano l’esistenza l’uno dell’altra danno inizio ad una passione amorosa senza limiti, una sorta di deragliamento emotivo che gli isola dal resto del mondo (l’occupazione tedesca, i convogli di sfollati, il centro di accoglienza che li ospita insieme ad altre decine di profughi), serrati in un universo tutto loro fatto di desiderio, di passione erotica, disperazione ed effimera felicità.
Per poche settimane sfuggono alla routine immersi in una bolla di amore e di passione erotica senza freni come solo può accadere quando si è in guerra: «Vivevamo un tempo di attesa, fuori dallo spazio, e io divoravo quei giorni e quelle notti con ingordigia».
Marcel nel suo diario confessione scrive: «Ero ingordo di tutto, dello spettacolo mutevole del porto e del mare, dei barconi da pesca di diversi colori che salpavano in fila indiana con l’alta marea, del pesce che veniva sbarcato nelle ceste o nelle cassette, della folla nelle strade, dei diversi aspetti del campo e della stazione».
«Ero ancora più affamato di Anna», racconta Marcel, «e, per la prima volta, nella mia vita non mi vergognavo dei miei desideri sessuali. Anzi, con lei era diventato un gioco che mi sembrava assolutamente puro. Ne parlavamo con gioia, con candore, inventando tutto un codice, adottando un certo numero di segnali che ci permettevano, in pubblico, di comunicarci i pensieri segreti».
© Marzia Pasticcini
Certaldo, 27 febbraio 2013

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