Un inno alla vita
"Se ti è piaciuto Accabadora della Murgia non puo' non piacerti Redenta Tiria..." così la mia bibliotecaria del cuore esordì in quella mail nei primi giorni di Settembre elencando una serie di libri, secondo lei, da non perdere. E così, da bravo alunno, consapevole di avere davanti ancora tanti anni da dedicare alla lettura ed una miliardata di libri ancora da sfogliare, al compimento dei miei primi cinquant'anni (a proposito, auguri vivissimi) mi sono messo a leggere queste pagine che parlano di vita e di morte. Non è il momento adatto, però...
E' un libro molto particolare, non esiste trama apparente ed un filo cronologico rispettato, anche se un attento lettore potrà riconoscere senza ombra di dubbio il "viaggio dell'eroe" e tutte le sue tappe.
La storia è divisa in due parti, in cui il protagonista, un impiegato comunale che firma le autorizzazioni alle sepolture, spiega quello che succede prima e quello che succede dopo nel paese sardo di Abacrasta.
Questo paesino dal nome impossibile era anche chiamato "Il paese delle cinghie" per il semplice fatto che nessuna persona moriva di vecchiaia o di malattia, tutti morivano suicidi e nella stragrande maggioranza dei casi impiccati con una robusta cinghia ad un ramo di un albero piuttosto che al corrimano delle scale, dopo aver sentito La Voce "ajò preparati, che il tuo tempo è scaduto".
E così pastori, meccanici, dottori, prostitute mettevano fine alle loro vite nel momento in cui le loro stesse vite li mettevano di fronte ad ostacoli più o meno insormontabili. Fino a quando, nella seconda parte, la Redenta Tiria, una vecchia signora cieca e scalza, decise di porre fine a questo stillicidio di vite perdute convincendo quelle menti oramai decise alla propria autodistruzione che in fondo si poteva ancora fare qualcosa.
Un inno alla vita questo romanzo dal vago sapore autobiografico. In fondo non esiste niente che possa essere talmente brutto da far agognare la morte e da poterla sostituire alla vita. Nessuna difficoltà, nessuna stortura, nessun guaio può fregiarsi di irreparabilità tale da non avere un'alternativa migliore alla morte. L'epilogo è decisamente scontato, telefonato, però il castello narrativo, la struttura e la scrittura è decisamente originale.
Due passi finali che mi hanno colpito molto per lua rudezza e verità sono stati: "Che si fottessero i malmorti, che forse avevano capito tutto e niente in anticipo. Per loro, che si lasciavano mangiare il cervello dal tumore maligno della quotidianità, mi ero giocato mezzo secolo di vita. Per loro e per quel piacere dannato che dà la scrittura, che è più subdolo di quello che danno i Santi, le donne ed il vino" e poi ancora "Io la voce mi sono stancato di aspettarla, per questo sono andato a cercarla sotto la quercia grande di mannoi Menelau...."
Il libro è decisamente da leggere soprattutto per gli appassionati di storie, anche intime, storie particolari, curiose. La mia bibliotecaria gode ancora della mia più totale fiducia dunque ed allora avanti con altri libri, con altre pagine da toccare e da stringere.
Buona lettura
Luca
Ventuno Novembre Duemiladodici
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